Ucraina: scoperto nuovo malware russo, si chiama Isaac Wiper
Individuato da Eset. Ha colpito reti governative Kiev
Identificato un nuovo virus malevolo, ulteriore arma di questa guerra tra Russia e Ucraina che si combatte anche nel cyberspazio.
Si chiama Isaac Wiper, ed è stato rilevato in attacchi contro organizzazioni governative in Ucraina.
La scoperta è dei ricercatori della società di sicurezza Eset, per il momento non ci sono evidenze di incidenti simili oltre i confini di quel paese.
Secondo gli esperti di Eset, Isaac Wiper è composto da una fase che infetta le reti locali, poi un ransomware che prende in ostaggio i dispositivi ma funge anche da diversivo. “Gli strumenti suggeriscono che gli attacchi sono stati pianificati per molti mesi”, dicono gli esperti da Eset. Al momento non è nota un’attribuzione ad un gruppo di hacker specifico.
A ridosso del conflitto sono stati individuati altri due virus di tipo ‘wiper’, cioè cancellano i dati, su cui anche l’Agenzia italiana di cybersicurezza ha lanciato l’allarme. E proprio ieri Microsoft ha reso noto di aver tracciato un altro virus che si chiama FoxBlade, apparso nello scenario cibernetico proprio a ridosso delle ore in cui la Russia invadeva l’Ucraina.
SpaceX lancia nuovi satelliti Starlink per internet
I permessi per l’attivazione chiesti all’Ucraina ancora prima della guerra
La SpaceX di Elon Musk ha impugnato il suo migliore ‘manico di scopa’ per spazzare via le battute sarcastiche dei russi e dare man forte dal cielo agli ucraini sotto assedio: grazie al razzo riutilizzabile Falcon 9, ha lanciato da Cape Canaveral 48 nuovi satelliti della costellazione Starlink per l’Internet globale, che da diversi giorni sta operando anche in Ucraina per supportare le comunicazioni durante il conflitto con la Russia.
Il permesso per estendere il servizio era già stato richiesto dalla compagnia un mese e mezzo prima dell’invasione, ma poi, col precipitare degli eventi, è bastato un tweet del vice premier ucraino per sbloccare la situazione.
Lo ha raccontato la stessa presidente di SpaceX, Gwynne Shotwell, durante un intervento al California Institute of Technology (Caltech). “Eravamo già al lavoro per cercare di ottenere il permesso di estendere il nostro servizio in Ucraina”, ha detto Shotwell. “Lavoravamo con gli ucraini già da un mese e mezzo circa”.
Quando il 24 febbraio è partito l’attacco russo, la compagnia di Musk era ancora in attesa di una lettera formale di risposta da parte delle autorità del Paese. “Poi hanno twittato: ecco il nostro permesso”, ha aggiunto Shotwell. Il 26 febbraio, infatti, il vice premier ucraino e ministro per la trasformazione digitale Mykhailo Fedorov ha lanciato un messaggio sui social, chiedendo a SpaceX di fornire terminali di Starlink.
Immediatamente Elon Musk ha risposto alla richiesta via Twitter, dicendo che l’azienda aveva avviato la spedizione verso l’Ucraina di diversi terminali, giunti poi nel giro di due giorni. “Loro hanno twittato a Elon e così ci siamo attivati”, ha detto Shotwell. “Quello era il nostro permesso. Quello era la lettera del ministro. Era un tweet”. Fornire gli strumenti per garantire le comunicazioni “è stata la cosa giusta da fare: credo che il modo migliore per sostenere le democrazie sia assicurarsi che tutti noi comprendiamo qual è la verità”.
Per questo il consolidamento della costellazione Starlink è diventato dunque un’azione strategica, che SpaceX sta portando avanti con lanci di nuovi satelliti a cadenza settimanale. A soli sei giorni di distanza dall’ultimo lancio del 3 marzo, oggi la base di Cape Canaveral è stata nuovamente avvolta dal fumo dei motori del razzo Falcon 9, che ha portato in orbita 48 nuovi esemplari Starlink. Una missione che ha avuto il sapore della rivalsa nei confronti dei russi. Quando il countdown segnava meno 44 secondi al lancio, infatti, il via libera è stato dato con una battuta diventata subito virale sui social. “È ora di far volare il manico di scopa americano e ascoltare i suoni della libertà”, ha detto Julia Black, direttore di lancio di SpaceX. Chiaro il riferimento ironico alle parole del capo dell’agenzia spaziale russa Dmitry Rogozin, che pochi giorni fa aveva annunciato lo stop alle forniture di motori per razzi agli Stati Uniti invitandoli a volare sulle loro scope.
Hacker lanciano un messaggio unico: ‘E la guerra del governo’
Continuano le azioni dimostrative di Anonymous anche in funzione della divulgazione delle informazioni sulla guerra.
Il gruppo GhostSec, che opera come parte del collettivo, ha violato centinaia di stampanti governative e militari russe.
Lo riporta su Twitter uno degli account ufficiali degli attivisti. L’obiettivo è stampare, da remoto, documenti con lo stesso messaggio: “Questa non è la tua guerra. Questa è la guerra del tuo governo. Mentiamo a fratelli e sorelle. I soldati di alcune unità militari pensano di eseguire attività di formazione” si legge. “Ma quando raggiungono il loro obiettivo, vengono accolti da ucraini che vogliono vendicarsi per la distruzione della loro terra portata avanti dai burattini di Putin”.
Tra le varie operazioni mediatiche di Anonymous, l’invio di messaggi ai cittadini russi per sollecitarli a insorgere contro Putin e rimuoverlo dal potere. Per diffondere informazioni sull’invasione in Ucraina, il collettivo ha lanciato il portale 1920.in che permette di mandare sms a numeri di telefono russi, al momento ne sono stati mandati 7 milioni, dice il collettivo.
A GhostSec, inoltre, si deve l’hacking nei giorni scorsi anche di 400 webcam visualizzate da organi statali di Mosca e civili. Con la violazione, gli attivisti erano riusciti a mostrare sugli schermi dei computer connessi alle videocamere vari messaggi informativi, servizi sugli effetti dei missili sull’Ucraina e della popolazione in fuga.
Arriva il super-malware che colpisce tutte le piattaforme
Un nuovo super-malware minaccia tutti i principali sistemi operativi desktop presenti sul mercato: quali sono i rischi e cosa sappiamo dell’attacco
C’era una volta la convinzione che i malware potessero attaccare soltanto uno specifico sistema operativo. Non era necessariamente vero, ma tale credenza si basava sulla schiacciante predominanza di attacchi mirati a contagiare computer Windows, rispetto a macOS o Linux.
L’arrivo di un nuovo super-malware rappresenta un evento raro quanto preoccupante, non solo perché capace di colpire tutti – o quasi – i sistemi operativi sul mercato. Il codice malevolo sarebbe in circolazione da diversi mesi (pare dalla metà del 2021) e sarebbe in grado di inserirsi nei dispositivi acquisendo livelli di autorizzazioni particolarmente elevati. Di fatto, permetterebbe a chi lo controlla di gestire l’accesso da remoto dei computer infetti.
Il malware è stato inizialmente scoperto su un server web Linux e battezzato SysJoker. Successivamente ne sono state individuate versioni in circolazione anche su macOS e Windows. Insolito anche il fatto che sia stato scritto da zero, non modificando un precedente codice malevolo. Il fatto che utilizzi quattro server C&C separati spinge gli esperti a pensare che si tratti di una minaccia reale ed elevata, realizzata da qualcuno che può contare su notevoli risorse.
Super-malware, quali rischi?
Gli esperti hanno identificato caratteristiche assolutamente simili tra le versioni individuate nei vari sistemi operativi. In generale si parla di un malware che garantisce una porta di accesso ai dispositivi, seguendo il modello RAT (Remote Access Tool). Ad affermarlo Intezer e Patrick Wardle, che hanno individuato rispettivamente la versione Windows e Mac. Secondo entrambi i file eseguibili avrebbero la medesima estensione (.ts).
Su Windows il malware potrebbe arrivare tramite un pacchetto npm o attraverso un file con estensione contraffatta per mascherare la vera natura del file di installazione. Su MacOS potrebbe essere stato mascherato da file video transport stream.
In tutti i casi si tratta di un file C++, che sfrutta una stringa di testo contenuta in un file caricato su Google Drive per collegare il computer infetto al server di controllo. A cosa mirano i cybercriminali? Secondo Intezer l’attacco punta in alto, andando a frugare tra i segreti e le informazioni sensibili delle aziende e di obiettivi specifici. Una volta individuato il target giusto potrebbe innescare un attacco di tipo “ransomware”. Si tratta di un tipo di minaccia in base alla quale l’hacker blocca il computer e i dati presenti sulla macchina, salvo poi chiedere un riscatto per “liberare” il dispositivo imprigionato.
Ucraina, dozzine Pc governo infettati dopo cyberattacco
Microsoft: se attivato malware può mettere dispositivi Ko
In Ucraina dopo il cyberattacco di giovedì dozzine di reti di computer delle agenzie governative sono stati infettati con un malware che può mettere i dispositivi Ko.
A dirlo è Microsoft in un post ufficiale, ripreso dal sito Cnet.
Il virus malevolo – spiega la compagnia di Redmond – ha preso di mira diverse organizzazioni in Ucraina, comprese le agenzie governative che assolvono a funzioni critiche o sono in prima linea nelle emergenze. Se attivato, il malware rende i computer inutilizzabili.
“I nostri team investigativi hanno identificato il malware su dozzine di sistemi interessati e quel numero potrebbe aumentare man mano che le nostre indagini continuano”, afferma Microsoft.
L’operazione da parte della società tecnologica è stata rilevata giovedì quando il paese è stato colpito da un potente cyberattacco che ha messo fuori uso diversi siti governativi su cui è apparso il messaggio “abbiate paura e aspettatevi il peggio”. Microsoft ha affermato di non essere in grado di valutare l’intento dell’attività cybercriminale nè di identificare caratteristiche precise che la colleghino ad attori delle minacce.
Un funzionario della sicurezza ucraino ha detto a Reuters sabato che il governo ritiene che a sferrare l’attacco informatico siano stati gruppi di hacker collegati ai servizi di intelligence russi. Mosca ha ripetutamente negato il coinvolgimento. Nel 2017, la Russia fu accusata del massiccio attacco ransomware NotPetya, che prese di mira istituzioni governative, finanziarie ed energetiche in Ucraina e causò danni per oltre 10 miliardi di dollari in tutto il mondo.
Apple, bug del browser Safari mette a rischio privacy utenti
Nel mirino le informazioni Google e la cronologia di navigazione
Una bug del software di navigazione Safari, su iPhone, iPad e computer Mac, mette a rischio la privacy degli utenti.
A scoprire la criticità è stato il sito FingerprintJS, che ha individuato la problematica in IndexedDB, un database che ha il compito di memorizzare i dati di navigazione di Safari, proteggendoli da occhi indiscreti, app di terze parti o eventuali hacker.
Il funzionamento di IndexedDB prevede, da un lato, la protezione delle informazioni degli utenti, dall’altro, la possibilità di salvare alcuni elementi per far si che non vengano inseriti di volta in volta sui siti più visitati, come la compilazione degli username e delle password. Il tutto con un livello di sicurezza elevato.
Secondo FingerprintJs, esiste un bug in IndexedDB che incide in modo particolare con le pagine dei servizi Google. Una volta creato il database per i vari YouTube, Calendar, Ricerca Google e così via, fruiti tramite Safari e non attraverso applicazioni indipendenti, questo non solo viene condiviso con il sito di origine del browser ma anche con tutte le altre schede aperte, anche vuote. In questo modo, altri siti possono venire a conoscenza e in tempo reale della navigazione dell’utente e, nel caso vi sia un acceso all’account Google, anche dell’ID univoco del profilo, compresa la foto e altri dati identificativi.
Stando ai ricercatori, le informazioni vengono erroneamente condivise anche se si naviga in modalità privata. FingerprintJS ha realizzato una demo per dimostrare la visualizzazione degli account Google lasciati trapelare dal malfunzionamento di IndexedDB. Ad oggi, oltre 30 siti interagiscono con i database e, sebbene la vulnerabilità sia stata segnalata il 28 novembre 2021, non è ancora stata risolta. (ANSA).
Roma a 56k, i topi rosicchiano la fibra e internet torna all’età della pietra
Tuffo nel passato per Trastevere che si risveglia agli inizi del 2000 quando le pagine internet si caricavano tra un caffè e l’altro con la simpatica colonna sonora del modem a 56k. A pochi metri da piazza Trilussa squadre di tecnici stanno provvedendo a rimettere in piedi la rete a fibra ottica dopo che i topi ne hanno rosicchiato i cavi. Il segnale internet è ‘down’ in tutta la zona di Trastevere e per i fortunati che riescono ad accedere la linea arriva a singhiozzo.
“Sono i topi che si mangiano tutto, rosicchiano il filo e divorano la fibra all’interno”, racconta il tecnico Giancarlo Gerosi al Corriere, intento a lavorare con Saverio Battisti e altri ragazzi della squadra, con mezzo busto che esce dai sanpietrini. “Il problema principale è che il segnale volta per volta rischia di diventare sempre più debole”, aggiunge.
Una tragedia per chi lavora da casa con la rete, soprattutto in questi ultimi mesi in cui l’alternativa non c’era. Ma i roditori non vivono solo a Roma. Durante la scorsa campagna elettorale a Parigi il tema è entrato in programma al pari di altre tematiche come l’immondizia, la pulizia e il decoro. Anche la rieletta (ed acclamata) sindaca della Ville Lumière, Anne Hidalgo, non è esente da critiche per non aver risolto del tutto il problema. Aveva infatti lanciato un nuovo modello di bidone della spazzatura a prova di topi anche se questa soluzione non ha del tutto funzionato.
Stesso problema a New York dove il neoeletto sindaco Eric Adams avrà il suo problema con i roditori che ben conosce perché quando il padre alcolizzato era nella sua macelleria e la madre in altre case come donna delle pulizie, lui cresceva in una casa popolare di Brooklyn, infestata dai ‘rats’. Adams è stato l’unico candidato sindaco a parlare di questo problema in campagna elettorale e in un’intervista al programma radiofonico statunitense The Breakfast Club, ha detto addirittura che vorrebbe piazzare in tutta la città una trappola a forma di secchio che attira i roditori con l’odore del cibo, annegandoli in una soluzione a base di aceto, presentata anche in occasione del Rat summit nel 2019.
Ora sarà una sfida anche per il neosindaco della Capitale Roberto Gualtieri, perché il problema dei topi a Roma è immemore. Nei primi anni del ‘900 Ernesto Nathan, anche lui appena eletto sindaco di Roma, esaminando il bilancio comunale si accorge della voce ‘frattaglie per gatti’, il cui compito sarebbe stato quello dare la caccia ai topi dagli archivi comunali. Nathan così depenna la voce, da quel momento i felini avrebbero dovuto sfamarsi solo con i topi catturati. Qui nasce il detto ‘Nun c’è trippa pe’ gatti’.
Sicuramente ce ne è per Gualtieri che ha 40 milioni di euro da spendere entro l’anno per l’impiego di mille operatori già inseriti nel piano Ama che avranno il compito di spazzare le strade, rimuovere le discariche abusive, igienizzare i cassonetti, curare il verde verticale ed orizzontale, manutenere le caditoie e i tombini per riuscire a cacciare i topi da Roma, come i gatti di Nathan di cent’anni fa.
Facebook cambia nome: ora si chiama Meta, e punta alla realtà virtuale
L’annuncio del Ceo Mark Zuckerberg durante l’evento Facebook Connect: «Il metaverso sarà il successore di Internet mobile»
Meta, che sta per Metaverso. È il nuovo nome di Facebook Inc., annunciato dal Ceo Mark Zuckerberg durante l’evento Facebook Connect. Una decisione, quella di cambiare nome all’azienda, che era nell’aria da giorni, e della quale avevamo scritto. Troppo ingombrate, ormai, per una società che connette miliardi di persone con app diverse e che punta con decisione al Metaverso, chiamarsi ancora Facebook. Anche e soprattutto perché i dolori del social media blu sono continui, con inchieste e scandali che stanno forse crocifiggendo oltre modo Zuckerberg.
Il Ceo, che durante l’evento è apparso saldamente al timone dell’azienda (smentendo le voci che lo volevano dimissionario), ha spiegato per Facebook era arrivato il momento di cambiare nome. E ha annunciato Meta. «In questo momento, il nostro brand è così strettamente legato a un prodotto che non può assolutamente rappresentare tutto ciò che stiamo facendo oggi, figuriamoci in futuro», ha spiegato Zuckerberg annunciando il cambio di nome dell’azienda.
«Il metaverso è la prossima frontiera»
«Nel corso del tempo, – ha aggiunto – spero che saremo visti come un’azienda del metaverso e voglio che il nostro lavoro e la nostra identità siano ancorati a ciò che stiamo costruendo. Il metaverso è la prossima frontiera. D’ora in poi, saremo al primo posto nel metaverso, non in Facebook».
Il Ceo ha spiegato ancora: «Oggi siamo visti come una società di social media, ma nel nostro Dna siamo un’azienda che costruisce tecnologia per connettere le persone e il metaverso è la prossima frontiera proprio come lo era il social networking quando abbiamo iniziato. La nostra speranza è che entro il prossimo decennio il metaverso raggiunga un miliardo di persone, ospiti centinaia di miliardi di dollari di eCommerce e supporti posti di lavoro per milioni di creatori e sviluppatori».
Nuovo ticker dal 1° dicembre
Secondo Zuckerberg «il metaverso sarà il successore di Internet mobile. Saremo in grado di sentirci presenti – come se fossimo proprio lì con le persone, non importa quanto siamo distanti. Saremo in grado di esprimerci in nuovi modi gioiosi e completamente immersivi». La società ha fatto sapere che le sue azioni inizieranno a essere negoziate con un nuovo ticker, MVRS, a partire dal primo dicembre.Faranno parte di Meta i due social Facebook e Instagram, oltre all’app di messagistica istantanea WhatsApp e la divisione dei visori di realtà aumentata Oculus.
Il furto dei dati SIAE è più grave di come SIAE la racconta: documenti, conti e cellulari dei VIP
A due giorni dalla scoperto del furto di dati ai danni di SIAE rilasciato un altro pacchetto contenente migliaia di documenti con dati privati e sensibili degli associati. Tra questi anche quelli di diversi volti noti dello spettacolo e del cinema
Per la SIAE il riscatto era stato fissato a 3 milioni di euro in bitcoin, ma visto che l’associazione che cura gli interessi degli editori e degli autori non ha, giustamente, intenzione di pagare, gli hacker si accontentano di soli 500.000 euro. Tanto vale, secondo l’hacker Everest, la mole di dati che sono stati trafugati in questi mesi all’associazione. Il primo che arriva li prende, poi i dati dovrebbero essere cancellati, ammesso che un gruppo di criminali possa seguire un codice “etico”.
Ma SIAE ha veramente la percezione della portata del problema? A sentire Gaetano Blandini, direttore generale di SIAE, si percepisce che l’ipersensibilità della Società sia sulla ripartizione e sui dati contabili dei flussi economici in uscita da SIAE, più che sulle identità, sui dati bancari, sulla anagrafiche dei contatti di SIAE. Blandini, in un intervista in TV, ha minimizzato: “Per fortuna non sembrerebbero esserci dati economici e neppure quelli relativi ad iban bancari, solo dati anagrafici, come carte d’identità, codici fiscali, e dati di molti nostri dipendenti”. Mah.
SIAE, è evidente, riesce a stimare benissimo il valore di una canzone popolare alla festa di matrimonio, e quando si tratta di fare questo calcolo a volte abbonda per eccesso, ma forse non è altrettanto capace di dare il giusto valore a quello che le hanno sottratto. Neppure, a questo punto, le terribili conseguenze che potrebbero esserci se questi dati venissero resi pubblici, cosa che capiterà se qualcuno non si presenterà da “ert”, questo il nome del contatto del team, con una cifra che viene ritenuta idonea.
La questione non deve affatto essere minimizzata come Blandini ha imprudentemente fatto, e sorge anche il dubbio che l’unica preoccupazione della SIAE fosse quella di proteggere i compensi degli autori e tutta la parte economica su cui si regge il castello. Se fossero stati prelevati i file relativi ai compensi di Bocelli o di Mogol, SIAE ci avrebbe fatto una brutta figura e avrebbe incrinato il rapporto con gli associati, ma sarebbe stata una cosa decisamente meno grave del furto di documenti che includono scansioni di carte d’identità, carte di credito, passaporti e altro ancora.
L’altra domanda da farsi è perché SIAE abbia la cattiva abitudine di scansionare tutto: nei file che abbiamo potuto visionare ci sono scansioni di documenti digitali a loro volta passati allo scanner. Cambi di anagrafica, registrazioni, pure le email, tutto stampato e trasformato in PDF.
SIAE parla di 27.000 anagrafiche, ma nei 60 GB (volume dichiarato sul quale però non ci sono riscontri certi) nessuno può dire cosa ci sia, nemmeno l’hacker. Da noi contattato ci ha infatti garantito, fornendocene le prove, che ci sono anche conti correnti, bonifici, iban, carte di credito e altri documenti. “Do credit cards and bank accounts count as payment information ? Iban info and other” ci scrive con una mail telegrafica.
Tra questi anche documenti, passaporti, carte d’identità, email, numero di cellulare, IBAN e ovviamente indirizzo di casa di celebrità vere, gente molto nota nel mondo dello spettacolo e della TV che sicuramente non ha piacere a sapere che dati così personali sono stati trafugati. In questo momento, secondo alcune agenzie di stampa, diversi nomi della lista stanno ricevendo un SMS con una richiesta di 10.000 euro circa per cancellare i dati in mano agli hacker. Potrebbe essere davvero l’hacker, o potrebbe essere semplicemente un altro malintenzionato che ha messo mano sui file via via rilasciati dall’hacker: oggi è stata la volta di un altro pacchetto da 2 GB, e ora inevitabilmente saranno diversi i truffatori a poter usare queste informazioni per raggirare gli artisti. Un problema di gravità inaudita.
L’hacker si è disinteressato di quelli che possono essere i dati che a SIAE interessa non fare uscire: ha dato uno sguardo sommario e quando ha visto dati personali utili per truffare ha fatto il prezzo. Con una carta di credito e una patente, o anche solo con la patente, ci si può iscrivere ad un servizio di card sharing figurando come un’altra persona e rubare una macchina. Con le carte d’identità si possono intestare SIM, si può fare SIM swapping, si può fare di tutto.
Quello che gli hacker hanno rubato a SIAE non sono email, data di nascita e numero di telefono, sono documenti unici di migliaia di persone che probabilmente al momento sono ignare che qualcuno ha una copia del loro documento, del loro passaporto o del loro IBAN, grazie alle ricevute.
IBAN che, al contrario di quanto ha detto in TV il direttore generale, sono invece presenti e ne abbiamo avuto le prove.
Conviene aggiornare il proprio PC a Windows 11? E’ questa la domanda che si fanno in molti ed a cui hanno cercato di dare risposta anche alcuni esperti. Se vi state chiedendo qual è la risposta che hanno dato, la possiamo riassumere con “è meglio aspettare ancora un pò”.
In un articolo pubblicato da The Register, il vicepresidente della società di ricerca Gartner, Stephen Kleynhans, parla di Windows 11 come un “lifting arrivato in ritardo” e che non offre molte nuove funzionalità o modifiche per gli utenti. Secondo il dirigente “tutte queste funzionalità avrebbero potuto essere rilasciate sotto forma di aggiornamento per Windows 10“, ed infatti definisce la strategia messa su da Microsoft come “un’opportunità di marketing“.
Proprio per tali ragioni, Kleynhans consiglia alle persone, in particolar modo alle aziende, di non precipitarsi con il download del nuovo sistema operativo. Soprattutto gli utenti business, secondo il numero due di Gartner, dovrebbero valutare meglio Windows 11 prima di effettuare l’aggiornamento, e prendersi almeno un anno di tempo per analizzare al meglio tutto.
In particolare, Kleynhans afferma che l’interfaccia utente di Windows 11 potrebbe provocare confusione tra gli utenti e potrebbe evolversi nel tempo sulla base dei feedback ricevuti.
Kleynhans non si aspetta però nemmeno una rapida adozione di massa da parte degli utenti, e suggerisce che “entro l’inizio del 2023, meno del 10% dei nuovi PC aziendali sarà distribuito con Windows 11“.
Tali considerazioni ovviamente, potrebbero essere estese anche ai clienti classici, soprattutto alla luce dei recenti bug scovati in Windows 11.
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